sabato 23 gennaio 2010

LE INFEZIONI OSPEDALIERE


Le infezioni ospedaliere
La medicina ha compiuto, nel corso dei secoli e in particolare dopo l'adozione del metodo sperimentale, enormi progressi. Basti ricordare alcuni significativi raggiungimenti del ventesimo secolo: la scoperta dei sulfamidici, degli antibiotici e di vaccini efficaci, capaci di arginare pericolose malattie infettive; gli straordinari progressi dell'anestesia (tecniche di intubazione, analgesici, curari), che hanno permesso di eseguire interventi chirurgici prima impensabili; i trapianti d'organo; la nascita della rianimazione; lo sviluppo della radiologia (mezzi di contrasto artificiali, medicina nucleare, ecografia, TAC, RMN); l'uso di psicofarmaci sempre più validi nella cura delle turbe mentali.

La sopravvivenza di individui un tempo destinati a soccombere, l'utilizzo di terapie efficaci e, talvolta, ritardi organizzativi e insipienze hanno creato nuovi problemi e cambiato volto a vecchi problemi: uno di questi è rappresentato dalle infezioni ospedaliere.

Nel diciannovesimo secolo si moriva di infezione contratta in ospedale molto più di oggi: chi subiva interventi chirurgici era particolarmente a rischio. Tali rischi perdurarono sino a che J. Lister, in Scozia, mise a punto i suoi metodi antisettici.
Oggi le infezioni ospedaliere sono sostenute prevalentemente da batteri per il passato considerati poco o nulla patogeni, con una prevalenza dei Gram negativi (Vedremo perché).

In generale dicesi infezione ospedaliera (o infezione nosocomiale) quella contratta dal soggetto in ospedale e che si può manifestare sia nel corso del ricovero, sia dopo la dimissione. Si tratta di un'infezione contratta in ospedale da un paziente che si è ricoverato per un'altra causa. Può essere sostenuta da germi patogeni tradizionali, come salmonelle e virus dell'epatite, o, più di frequente, dai cosiddetti microrganismi opportunisti. Può determinare un allungamento della degenza (costi umani ed economici aggiuntivi) e talora anche la morte.

I germi opportunisti sono microrganismi scarsamente virulenti, molto numerosi nell'ambiente ospedaliero, che sono pericolosi per determinati soggetti.
L'uso indiscriminato degli antibiotici ha favorito la proliferazione in ospedale di ceppi antibiotico-resistenti, agenti causali di numerose infezioni. Per tale motivo, l'antibiotico-terapia dovrebbe essere il più possibile mirata, cioè seguire all'isolamento del germe responsabile dell'infezione. A ciò servono gli esami colturali associati all'antibiogramma.
Anziani, politraumatizzati, ustionati, prematuri, diabetici, pazienti oncologici, pazienti sottoposti ad importanti interventi chirurgici, pazienti critici le cui difese immunitarie si sono abbassate (soggetti immunodepressi o immunocompromessi) possono facilmente, durante la degenza in ospedale, sviluppare un'infezione.
A volte succede che manovre invasive come interventi chirurgici, cateterismi venosi o cardiaci, terapie iniettive, trasfusioni, introduzione di sonde varie aprano la strada a germi responsabili di infezione. È sempre raccomandabile a chi attende a tali manovre il rispetto della più rigorosa asepsi.

Un pericolo è rappresentato dall'affollamento. Più malati in una stanza possono trasmettersi vicendevolmente germi: è il fenomeno delle infezioni crociate. Da evitare anche l'affollamento dei visitatori al capezzale di un paziente immunocompromesso. È questo il motivo principale per cui l'accesso ai reparti di terapia intensiva è rigidamente regolamentato.

Spesso sono carenze strutturali, organizzative o semplicemente igieniche che determinano l'infezione in un ricoverato.
Fu Semmelweis, grande medico misconosciuto dai suoi contemporanei, che, già nell'Ottocento, identificò nella scarsa igiene delle mani dei dottori del tempo la causa della temibile febbre puerperale.
Il lavaggio accurato, metodico delle mani (comprensivo degli avambracci) è ancor oggi il presidio più efficace nella prevenzione delle infezioni ospedaliere. Importante è anche il corretto impiego di materiale monouso: guanti, siringhe, camici, mascherine bucco-nasali, ecc., che impedisce agli operatori di veicolare involontariamente microrganismi patogeni.

Oltre all'igiene del malato e del personale di assistenza, particolare attenzione va posta alla decontaminazione di strumenti, oggetti, ambienti. Tra le procedure che possono essere messe in atto, a questo proposito, nella prevenzione delle infezioni ospedaliere, vanno ricordate:

  1. La sanificazione: ovvero lo sviluppo , la valorizzazione e la pratica attuazione di precauzioni e provvedimenti di ordine sanitario, allo scopo di conseguire una pulizia in grado di tutelare e salvaguardare la salute. Può essere altrimenti definita come la scienza della pulizia.
    Le tecniche della sanificazione sono rivolte alla distruzione della flora batterica patogena e saprofita, focalizzando l'attenzione sullo sporco e quindi sulla polvere e il pulviscolo che si trovano, in maggiore o minore quantità, in tutti i locali dell'ospedale.
    Interessanti esperimenti sono stati condotti in alcuni nosocomi con addestramento specifico del personale delle pulizie.
  2. La disinfezione: ovvero la distruzione dei microrganismi patogeni. I disinfettanti vanno usati correttamente, entro sette giorni dall'apertura della confezione, conservati nei loro recipienti originali, sigillati dopo l'uso.
  3. La sterilizzazione: ovvero la distruzione di tutti i microrganismi, patogeni e non patogeni, comprese le spore.

Va ricordata anche la disinfestazione: consiste nel distruggere, nel loro ambiente ecologico e nell' habitat umano, i vettori (es.: mosche, zanzare) dei microrganismi patogeni, nonché nell'allontanarli dal possibile contatto con l'uomo.

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